Ci ho messo dieci anni per iniziare a leggere i Sillabari – il finito di stampare della mia copia è del 2013 – e quasi un mese per arrivare in fondo all’inventario dei sentimenti umani che Goffredo Parise ha scritto per il Corriere della Sera tra il 1971 e il 1980. Credo non sia dipeso tanto da me né dai giorni concitati che hanno accompagnato, quanto piuttosto dalla densità di queste pagine che mi ha richiesto una pausa tra un racconto e l’altro, per riuscire a lasciar andare e ricominciare ogni volta da capo.
Penso ai giorni e agli anni che mi ci sono voluti, al durante ma soprattutto al prima, perché ho l’impressione che solo così avrei potuto leggere questi Sillabari: lasciando che mi insegnassero quanto è importante aspettare.
«Dodici anni fa giurai a me stesso, preso dalla mano della poesia, di scrivere tanti racconti sui sentimenti umani, così labili, partendo dalla A e arrivando alla Z. Sono poesie in prosa. Ma alla lettera S, nonostante i programmi, la poesia mi ha abbandonato. E a questa lettera ho dovuto fermarmi. La poesia va e viene, vive e muore quando vuole lei, non quando vogliamo noi e non ha discendenti. Mi dispiace ma è così. Un poco come la vita, soprattutto come l’amore.»
Sillabari, Goffredo Parise