Signor Palomar. Italo Calvino nei libri degli altri: continua il mio percorso di lettura dedicato al mio autore del cuore.
Ci troviamo da verso a Milano, giovedì 4 maggio alle 19:00. In questa seconda tappa, risvolti, quarte di copertina, pareri di lettura e scambi epistolari ci faranno rivivere il tempo che Italo Calvino ha trascorso a fare i libri (non solo suoi) tra le stanze di casa Einaudi.
Signor Palomar: ho organizzato un percorso di lettura da verso a Milano, intorno a Italo Calvino.
Giovedì 23 marzo alle 19:00 partiremo dal ritratto dell’uomo e dello scrittore che è sempre stato molto restio a parlare di sé, leggendo alcune delle sue pagine meno note.
Giovedì 4 maggio alle 19:00 attraverseremo il suo epistolario per ripercorrere il suo lavoro in Einaudi e il suo contributo al fermento della stagione editoriale più felice del Novecento.
Dev’essere così che funziona: un posto ti appartiene quando inizi a collezionarci dei ricordi, quando instauri con le cose che lo abitano un rapporto che va oltre il semplice occupare uno spazio.
Così una specie di ossessione mi porta alla ricerca di tracce scritte dei luoghi in cui i miei miti hanno lavorato: spazi, stanze, scrivanie che in molti casi non esistono più, ma che provo a ricostruire mettendo insieme pagine su pagine.
Per alimentare le mie ossessioni sembrano essere stati scritti libri come questo, che mi ha portata a sentire l’aria che si respirava tra le stanze di casa Einaudi negli anni in cui vi hanno vissuto Pavese, Calvino, Ginzburg, Levi e tutti gli altri; a distinguere il ticchettio delle macchine da scrivere, il fruscio dei fogli, il ronzio delle parole ancora da trovare.
«L’Editore voleva creare intorno alle persone e agli oggetti uno spazio vuoto, un momento di silenzio, perché potessero riflettere, respirare. Lo spazio che dà risalto a pochi oggetti esemplari.»
Leggendo I migliori anni della nostra vita mi è sembrato di sbirciare senza essere vista quella «bizzarra tribù accampata nelle stanze di via Biancamano», di partecipare all’appuntamento delle diciotto del mercoledì, di scoprire cosa si provasse a lavorare al fianco di giganti che sapevano essere una squadra; di intuire il temperamento di ciascuno attraverso il modo di camminare, di sedere in poltrona, di aggrottare le sopracciglia, di stare di traverso al tavolo per scrivere. Di vivere insomma un tempo che non ho vissuto, ma a cui per qualche strana ragione sento di appartenere.
Temo che non avrò mai l’occasione di parlare con Ernesto Ferrero e di guardare aprirsi attraverso i suoi occhi i cassetti della memoria per lasciar uscire fuori qualche ricordo ancora. Posso però – e lo sto già facendo – continuare a gironzolare tra quelle stanze, attraverso il suo ultimo Album di famiglia.
Semmai lo incontrassi, sono certa che la prima cosa che gli direi è questa: grazie.
15 ottobre. Non un giorno come un altro, nella sfera dei miei affetti personali. Il prossimo anno saranno cento tondi che sei nato, Italo del mio cuore, e sarà un gran parlare del tuo genio, delle tue visioni, delle tue parole di cristallo, di come avresti saputo guidarci con la tua mente che era capace di capriole all’indietro e mirabolanti salti in alto.
Per me però sono speciali anche i novantanove di questa ricorrenza spaiata e non ho mai pensato fosse un caso se oggi, tre anni fa, entravo in sala operatoria – è vero quando dico che prima di chiudere gli occhi ho fatto ridere tutti, dicendo che era il tuo compleanno.
Sono felice che, con l’occasione della prossima ricorrenza, molte persone si avvicineranno a te per la prima volta, oppure riapriranno le tue pagine per rileggere quelle che avevano sottolineato, o forse ne ritroveranno in libreria alcune che non si vedevano da tanto.
Tu sappi però che pochi ti vorranno bene come te ne voglio io e che, se per un soffio non fossimo capitati in due epoche così diverse, avresti trovato una mia lettera tra la corrispondenza a cui ti dedicavi con grande slancio.
Ti sarò sempre grata per il copertone con cui Copito de Nieve cerca di raggiungere il senso ultimo delle cose, per gli inventari di formaggi e per gli amori difficili, per l’esattezza e la molteplicità, per il sentiero che porta ai nidi di ragno, per aver dedicato una vita intera alle parole, soprattutto a quelle degli altri. Ma soprattutto perché, ogni volta che mi metto a cercare le mie, provo a farlo come se tu potessi guardarle – con la certezza che ti farei storcere il naso.
Nelle ore troppo piene, nelle settimane troppo lunghe, nei momenti troppo bui, ho la mia riserva di pagine di Italo Calvino a cui attingere per trovare conforto.
Così ho seguito Amerigo Ormea nella sua giornata da scrutatore e mi sono stupita di quanto una storia scritta per una generazione di sessant’anni fa abbia da dire alla mia, che soffre per le storture del mondo e cerca come può di raddrizzare la piccola parte di cui è responsabile: «Nella politica come in tutto il resto della vita, contano quei due principî lì: non farsi mai troppe illusioni e non smettere di credere che ogni cosa che fai potrà servire». Amerigo, parente prossimo di Marcovaldo e Palomar, ha ancora un piede nella realtà, ma la guarda già con disincanto: «La complessità delle cose alle volte pareva un sovrapporsi di strati nettamente separabili, come le foglie d’un carciofo, alle volte invece un agglutinamento di significati».
Con questo racconto Calvino aggiunge un tassello alla «rappresentazione e commento della realtà contemporanea» che aveva inaugurato con La speculazione edilizia e La nuvola di smog: «Avevo in animo, allora, di fare una specie di ciclo che avrebbe potuto intitolarsi A metà del secolo, insomma di storie degli anni ’50, a segnare un trapasso d’epoca».
Ancora oggi, le sue parole dicono qualcosa di noi che le citiamo – spesso a sproposito, come il passaggio che descrive l’amore di un padre in visita al figlio malato:
«Quei due, così come sono, sono reciprocamente necessari. E pensò: ecco, questo modo d’essere è l’amore. E poi: l’umano arriva dove arriva l’amore; non ha confini se non quelli che gli diamo».
A prendere le distanze dal mondo, Amerigo si accorge – e noi con lui – che appartiene alla stessa natura umana di cui tutti siamo fatti; che i sentimenti sono lacci che legano (dolorosamente) le persone; che nei libri cerchiamo una spiegazione; che forse ciò che conta in ogni cosa «è solo il momento in cui comincia, in cui non esiste che il futuro».
Ma soprattutto, che a sperimentare la difficoltà di esistere non siamo soli: «Non sapeva cosa avrebbe voluto: capiva solo quant’era distante, lui come tutti, dal vivere come va vissuto quello che cercava di vivere».
La giornata d’uno scrutatore, Italo Calvino (Einaudi, 1963)