Un pacco di Pall Mall, un paio di occhiali da vista, una cedrata e un libro, L’ombra dell’ombra, l’ultimo edito la Nuova Frontiera (che lo ha recuperato dopo quasi trent’anni dalla prima pubblicazione italiana Interno Giallo): con questo equipaggiamento essenziale Paco Ignacio Taibo II si è presentato all’incontro di un paio di giorni fa a cui ho avuto la fortuna di partecipare insieme a Laura, Roberta, Barbara e Simona.
Prima di iniziare a parlare, Paco si accende una sigaretta e va avanti così, una boccata dopo l’altra, a raccontarci il suo Messico, quella terra lontanissima e polverosa che lo ha adottato all’età di sedici anni. Seduta accanto a lui c’è Paloma, sua moglie. Si percepisce subito che si appartengono da sempre, e dopo qualche chiacchiera scopriamo che stanno insieme da quarantasei anni. Paloma ha uno sguardo dolcissimo, lo ascolta insieme a noi e sorride, annuisce, ogni tanto suggerisce qualche aneddoto divertente sulla loro vita di tutti i giorni. Come quando lui la sveglia nel cuore della notte per dirle: «Sono uno stronzo, ho fallito», ma poi ci ripensa e la sveglia di nuovo, dopo mezzora, dicendo: «Sono un genio!».
Non ci mettiamo molto a capire che ci stanno facendo un regalo straordinario a raccontarsi come se fossero personaggi del romanzo che abbiamo sotto gli occhi. Parliamo a lungo, metà in spagnolo e metà in italiano, mentre Lorenzo Ribaldi cerca di tradurre solo l’indispensabile per non farci perdere l’autenticità di quest’uomo e del momento unico che stiamo vivendo.
La prima cosa che gli sta a cuore raccontarci è il suo progetto Brigada para Leer en Libertad, un’associazione che da sette anni gira in lungo e in largo il Messico per far avvicinare ai libri milioni di persone per le quali la lettura non è un’esperienza così familiare (qualche tempo fa, Adriano Ercolani su minima&moralia ha dedicato un’interessantissima intervista a Taibo II sull’argomento).
Ci aspetta mentre prendiamo appunti, e ridacchia per il nostro «tichi tichi» – così dice lui – mentre picchiettiamo sui nostri smartphone. E rispondendo alle domande sembra quasi che il libro sia passato in secondo piano, perché Taibo II ci parla con la stessa passione delle storie che ha scritto e di quelle ancora da inventare, come se stessimo contribuendo anche noi in quel momento a dare forma a ciò che leggeremo presto tra le sue pagine.
Scrivere – dice – è una questione di identità, soprattutto per la sua generazione che è nata orfana, e per lui che è diventato anti-imperialista leggendo Salgari e ateo leggendo I tre moschettieri.
Si vede che non cerca di nascondere nessun segreto quando ci dice che l’ispirazione non esiste: è una combinazione di intuizione e di ore con il culo sulla sedia – «ore culo», le chiama lui, e penso che non ci sia definizione più adeguata. Il tempo della scrittura è il tempo del lavoro e della disciplina, ma non del sacrificio – ci tiene a chiarire – perché il lavoro non è castigo, ma soltanto un piacere.
E poi ci parla degli autori fondamentali e dei libri che non puoi non aver letto a vent’anni: Spartaco di Howard Fast, John Dos Passos, John Steinbeck, Più che umano di Theodore Sturgeon, Il Ciclo del Mondo del Fiume di Philip José Farmer.
Torno a casa con il cuore gonfio per l’emozione e con una lista di autori da leggere che continua a crescere, certa di aver imparato una grande lezione: «Se non c’è passione, la vita che cazzo è? Vieni al mondo per cambiarlo, non per guardarlo».
Incontrare gli autori è sempre una bellissima esperienza, ti arricchisce :) Ed è bello percepire una passione così forte :)
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