L’una e l’altra

«L’arte non fa succedere niente in un modo che fa sembrare che sia successo qualcosa.»

Ci ho messo un po’ – e sette mesi dall’uscita dell’edizione italiana SUR, dopo la prima pubblicazione in lingua originale nel 2014, sono un bel po’ di tempo – per decidermi a leggere L’una e l’altra di Ali Smith.

Ali Smith, L’una e l’altra (How to be both)

Avevo la sensazione che sarebbe stata una lettura importante, lo avvertivo nelle parole estasiate di chi lo ha letto prima di me. Eppure la possibilità di una delusione ha continuato a frenarmi, complice il timore di non riuscire a prevedere la mia esperienza di lettura: la particolarità più evidente – ma non è l’unica – di L’una e l’altra è che le due storie che compongono il romanzo sono disposte in maniera alternata fra due diverse tirature, per cui a libro chiuso non è dato sapere se si leggerà prima la storia contemporanea della sedicenne inglese George, a pochi mesi dalla morte di sua madre, oppure quella di un(’)artista della Ferrara di metà Quattrocento.

Poi un giorno, senza un motivo preciso, ho agito d’impulso e ne ho ordinata una copia su internet, lasciando che fosse il caso a darmi una mano. Quello che è successo dopo qualche riga è stato un innamoramento immediato, totale, inevitabile. E ho capito presto che, da qualunque parte avessi iniziato, sarei stata catturata con la stessa intensità dentro un gioco letterario raffinatissimo che si sviluppa come un disegno su più livelli, con un sotto e un sopra che si richiamano di continuo, come una superficie a specchio in cui è possibile cogliere contemporaneamente due facce della stessa immagine riflessa.

L’una e l’altra è un romanzo che si lascia letteralmente esplorare e colpisce non solo per l’originalità dello stile in cui è scritto, ma anche per le continue suggestioni visive e sonore che sono disseminate lungo la narrazione. L’arte è la vera protagonista di questa storia e – a cominciare dall’affresco nel Salone dei Mesi di Palazzo Schifanoia a Ferrara che ne ha fornito lo spunto narrativo – leggendo si avverte spesso il bisogno di vedere e sentire ciò di cui si racconta. Per questo ho pensato di riunire un equipaggiamento minimo di supporto alla lettura, per non perdere la bussola tra tutti gli spunti che si susseguono lungo le pagine.

Palazzo Schifanoia, Salone dei Mesi (Francesco del Cossa), parete est

Palazzo Schifanoia, Salone dei Mesi (Francesco del Cossa), parete est

«La sala è tiepida e buia. No, non è buia, è luminosa. È l’una e l’altra cosa insieme. […] Ma quello che si vede è così pieno di vita in fermento che sembra vivo davvero, perlomeno la parte in fondo. E le figure umane nell’ampia fascia azzurra che scorre lungo tutta la zona centrale, a metà del dipinto, dividendolo in un sopra e in un sotto, pare che fluttuino nel vuoto, o che camminino per aria, specialmente nella parte più luminosa. Dà l’idea di una striscia a fumetti gigante. Solo che è anche un’opera d’arte.»

Palazzo Schifanoia, Salone dei Mesi (Francesco del Cossa), dettaglio mese di Marzo (1469)

Palazzo Schifanoia, Salone dei Mesi (Francesco del Cossa), dettaglio del mese di Marzo (1469)

«È impossibile non tornare a guardare più e più volte la striscia azzurra che corre come un fregio tutto attorno alla stanza a dividere la parte superiore da quelle inferiori del dipinto, la striscia nella quale le persone e gli animali sembrano fluttuare a mezz’aria. L’azzurro attira inevitabilmente l’occhio. Ti concede un attimo di respiro in mezzo a tutte le cose che succedono sopra e sotto.»

«L’uomo vestito di stracci bianchi. È quello della foto che sua madre ha visto a casa. È lui il motivo per cui si trovano qui. Più in là, dall’altro lato della donna che fluttua sopra la capra, c’è un ragazzo, o forse una ragazza, potrebbe essere sia l’una che l’altra cosa, che indossa splendidi abiti sfarzosi e tiene in mano una freccia o un bastone e un cerchio d’oro, come se fosse tutto solo un delizioso gioco

«C’è un altro dipinto di un luminoso giallo oro. Ritrae una donna con in mano un fiore dallo stelo sottilissimo. Il fiore, al posto della corolla, ha due occhi.
Pazzesco, dice H.
La donna che ha in mano gli occhi-fiore ha un sorriso appena accennato, come una maga vergognosa

Francesco del Cossa, Ritratto maschile (1472-1477), Museo Thyssen-Bornemisza, Madrid

Francesco del Cossa, Ritratto maschile (1472-1477)

«L’ultimo dipinto che H ha trovato ritrae un bell’uomo dagli occhi castani. Ha in mano un anello d’oro. Lo tiene come se la mano fuoriuscisse dal bordo della cornice del quadro per entrare nel mondo reale, quasi stesse letteralmente dicendo: tieni, questo è per te, lo vuoi?
Ha un copricapo nero. Forse anche lui porta il lutto.
Guarda qui, dice H.
Indica le formazioni rocciose sullo sfondo, dietro la testa dell’uomo, dove c’è un pezzo di roccia che ha un po’ la forma di un pene puntato contro una parete rocciosa di fronte – dall’altra parte di una piccola insenatura, sull’altro lato della testa del bell’uomo – in cui si apre una specie di antro.
Tutte e due scoppiano a ridere.
È una cosa allo stesso tempo sfacciata e invisibile. È un’allusione sottile e allo stesso tempo la trovata più grossolana che si possa immaginare, così grossolana da risultare sottile. Una volta che l’hai visto, non puoi più non vederlo.»

Sono pagine che pullulano di immagini, ma anche di musica. Una colonna sonora commovente e scanzonata racconta la storia d’amore tra una madre e una figlia che non possono più incontrarsi e accompagna l’intrecciarsi di un legame in cui trovare la forza per andare avanti. Dentro L’una e l’altra convivono due mondi sonori distanti, ma non opposti, e George riesce a tenerli insieme con i suoi gesti che si ripropongono in maniera costante, con l’ostinazione di un rituale che possa accorciare le distanze.

  • Ray Peterson, Tell Laura I Love Her (1960)
  • Pinetoppers, Lonely Little Robin (1951)
  • Miley Cyrus, Wrecking Ball (2013)
  • Pet Shop Boys, Being Boring (1990)
  • The Proclaimers, I’m Gonna Be 500 Miles (1988)
  • The Beatles, Help (1965)
  • Queen, Crazy Little Thing Called Love (1980)
  • Van Morrison, Brown Eyed Girl (1967)
  • John Farrar (Grease), You’re the One That I Want (1978)
  • Chubby Checker, Let’s Twist Again (1961)
  • Sylvie Vartan, Comme un garçon (1968)

Con il senno di poi, so che avrei dovuto mettere da parte i timori che mi hanno fatto esitare e mi sarei dovuta lanciare nella lettura senza stare troppo a pensarci. È vero che certe pagine di L’una è l’altra fanno un po’ male, ma il peggio che può accadere è di sentire, a lettura finita, il bisogno di ricominciare da capo oppure di non resistere alla tentazione di saltare sopra un treno per Ferrara, magari con un romanzo di Giorgio Bassani sottobraccio.

«Perché nessuno ha la più pallida idea di chi siamo, o di chi siamo stati, e nemmeno noi ce l’abbiamo.
…tranne, cioè, nel barlume di un momento di scambio equo tra sconosciuti, o in un cenno di comprensione e accordo tra amici.
A parte questo, usciamo anonimi nell’aria piena di insetti e non siamo altro che polvere di colore, breve ingegneria di ali verso uno scintillio di luce su un filo d’erba o una foglia nel buio estivo.»

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