Libri sull’editoria: una lista collaborativa

Libri che parlano di libri e altre amenità editoriali

Vecchi caratteri tipografici

Non ci stanchiamo mai di parlare di libri, né di continuare a leggere (e accumulare) libri che parlano di libri e di editoria. E con l’intento di aggiungere qualche tessera all’inventario dei desideri che ci fanno vivere meglio, ho cercato di riunire i pezzi più importanti della mia collezione libresca.

Come tutte le selezioni, non ha la pretesa di essere esaustiva né di porsi come una guida, ma è semplicemente un modo per mettere nero su bianco quanto sono fiera delle (poche) cose che so e che possiedo. Noterete che – dove il libro non sia fuori catalogo – ho inserito un link di affiliazione: se ci passate per acquistare (anche qualsiasi altra cosa), a me arrivano degli spiccioli, con i quali mi procurerò ancora un libro per accrescere la lista.

Fatte queste premesse, vi do il benvenuto tra gli scaffali della libreria che mi sono più cari. Si accettano volentieri consigli, perché il bello è proprio che non si finisce mai.

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Non bisogna mai scherzare con la Storia

Georges Perec, L’attentato di Sarajevo (nottetempo)Esistono innumerevoli modi per dirsi addio, così come per riapparire dai meandri polverosi della memoria, e L’attentato di Sarajevo di Georges Perec ne conosce almeno tre. Perché per arrivare alle stampe – postuma, nel 2016, per le Editions du Seuil – la prima prova narrativa dello scrittore francese ha dovuto affrontare un percorso tortuoso: dal dattiloscritto di una vecchia compagna di liceo di Perec, passando per la copia carbone di un esemplare posseduto dal pittore serbo Mladen Srbinović, fino a due fogli di bozza – conservati tra i libri rari del Fondo Georges Perec – che documentano un soggiorno dell’autore in Jugoslavia, dall’agosto al settembre del 1957.

L’attentato di Sarajevo – arrivato in Italia nel 2019 per i tipi di nottetempo, nella traduzione di Angelo Molica Franco – è il frutto di un lavoro di collazione tra ripensamenti, correzioni e cancellature, che consente di sbirciare attraverso l’officina dello scrittore, appena ventunenne al tempo della stesura. E dà un’idea del lavoro di cesello attraverso il quale Perec già iniziava a esercitare la sua ispirazione: basti pensare alle alternative vagliate e scartate fino a individuare la parola più congeniale, per esempio, quando per «l’orchestra del Palace sussurrava un valzer lento», «Perec aveva dapprima scritto “rovinava”. Poi ha aggiunto a margine la seguente lista: “bemollizzava sciroppava caramellizzava sussurrava infliggeva allungava scorreva gesticolava avvelenava ondulava inchinava vomitava inghiottiva”, e alla fine ha cerchiato “sussurrava”».

Dei modi per dirsi addio, è come se L’attentato di Sarajevo ne esplorasse uno diverso in ogni pagina, e farebbe bene a tenerlo presente chi si aspettasse da quest’opera una ricostruzione accurata dell’attentato ai danni dell’Arciduca Ferdinando e della consorte, da cui è scaturito il primo conflitto mondiale. A dispetto del titolo, infatti, la vicenda storiografica si inserisce in secondo piano rispetto all’intreccio che l’autore intende raccontare e che si muove entro il perimetro dei più classici quadrilateri amorosi: «Anna ama Branko e Branko ama Mila e Mila ama me», che parrebbe avere un fondamento autobiografico, stando alla nota dattiloscritta che correda le carte di Perec e che elenca gli avvenimenti che si susseguono giorno per giorno nel romanzo.

È l’autore stesso – o, per meglio dire, il narratore – a fornirci le chiavi per entrare dentro a L’attentato di Sarajevo dalla corretta angolazione: «Vivete come uno slavo le passioni che furono in gioco, e forse riuscirete a cogliere ciò che questa storia ha di tragico, di meravigliosamente tragico». E, con una serie di incursioni dentro la scrittura, a farci arrivare al cuore «di un processo, di un tipo un po’ particolare di processo» che consiste nel mettere su carta pezzi di memoria: «Devo scusarmi, se sono costretto a interrompermi così spesso. Preferirei mille volte poter raccontare una storia semplice, senza che gli avvenimenti debbano essere sempre messi in dubbio».

Più che la storia di un amore – del reticolo che scaturisce da diverse stratificazioni di amore – questo romanzo è il racconto, scomposto attraverso il ricordo, della forza dirompente e distruttiva di un sentimento dentro le vite degli esseri umani che si muovono e fanno congetture nello sconfinato territorio della possibilità.

L’attentato di Sarajevo si può leggere allora come pietra angolare di un monumento della letteratura francese del Novecento, andando a rintracciare i numerosi riferimenti e immagini letterarie di cui si nutre: da Apollinaire fino a Stendhal, che «avrebbe riconosciuto in noi Madame de Chasteller e Lucien Leuwen mentre camminano nel bosco dello Chasseur vert. Non sto scherzando: la nostra emozione era la stessa, come pure il nostro accordo e la nostra felicità».

Ma anche con il supporto di una guida all’ascolto, che inizia con l’attacco della Sesta Sinfonia di Beethoven e si snoda attraverso la voce di Billie Holiday e le celeberrime note di canzoni francesi come Les feuilles mortes, Barbara, En sortant de l’école e Mademoiselle de Paris.

Avendo l’accortezza di seguire solo una semplice avvertenza: «Non bisogna mai scherzare con la Storia».

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