Il secolo lungo di Giacomino

Il 25 giugno del 1901 nasceva Giacomo Debenedetti e il secolo che ha attraversato – e letto, scritto, interpretato – non sempre gli ha riconosciuto il merito per la traccia che ha impresso nella cultura letteraria italiana.

Complice la ricorrenza, quest’anno ho deciso di conoscerlo meglio e ho provato a ricostruire un suo ritratto dalle pagine (tante) che ho studiato e che restituiscono la misura dell’intellettuale e del maestro, dalla voce di chi ha avuto la fortuna di incontrarlo.

Un padre difficile

Una stanza foderata di libri, isolata dal resto della famiglia da una «pesante porta doppia, scopertamente proustiana, che papà aveva voluto a protezione del suo lavoro»: così appare lo studio di Giacomo Debenedetti agli occhi del figlio Antonio, che lo descrive – nella biografia Giacomino, tra i tipi di Bompiani – come un «venerato e un po’ misterioso genitore», «un individuo così asincrono» con quella sua «vocazione a rendersi l’esistenza impossibile per eccesso d’interiorità».

Un padre difficile, ma che aveva il dono di mettere in comunicazione le personalità che hanno segnato la storia culturale del nostro paese: le case che la famiglia Debenedetti ha abitato – a Torino prima e a Roma poi – sono state il ritrovo, e anche il rifugio, di Umberto Saba, Bobi Bazlen, Elsa Morante, Alberto Savinio, Giorgio Caproni, solo per citare i frequentatori abituali di quelle stanze.

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Dodici per duemilasedici

Non amo le classifiche e i bilanci di fine anno e sono una pessima compilatrice di propositi virtuosi per il futuro. Quello che mi riesce particolarmente bene, invece, è guardare indietro e sorridere delle cose belle che ho incontrato.

Che il prossimo anno ci arricchisca tutti di sentimenti preziosi, come quelli che ho conosciuto leggendo questi libri:

Dodici libri che ho amato nel 2016

La porta di Magda Szabó (Einaudi), una storia dolcissima e senza tempo che ha per protagonisti l’amore, il silenzio e la scrittura.
Martin il romanziere di Marcel Aymé (L’orma editore), perché abbiamo bisogno di tenere in allenamento la nostra capacità di immaginare per restare vivi.
Panorama di Tommaso Pincio (NN editore), un romanzo claustrofobico sull’ossessione per l’amore e per la lettura, ideale per perdersi tra le strade di Roma.
Il posto di Annie Ernaux (L’orma editore), un libro che parla con coraggio di cosa significhi essere figli, perché per essere quello che siamo non possiamo dimenticare da dove siamo venuti.
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Inventario di spazi

[Per non disimparare a guardare
Consiglio di lettura: Georges Perec, Specie di spazi (trad. R. Delbono), Bollati Boringhieri, 2015
Consiglio d’ascolto: Georges Bizet, Carmen – Sur la place chacun passe
Consiglio in infusione: tisana allo zenzero]

Se un giorno dovessi trasferirmi su un’isola deserta, anche solo per un periodo di tempo limitato, immagino che dovrei essere pronta a scegliere almeno un libro da portare con me. Potrei optare per uno di quei tomoni che racchiudono universi completi, finiti, dove sembra che tutto sia stato scritto e in cui mi basterebbe immergermi per trovare ristoro; eppure credo che sarei più propensa a scegliere un libriccino di dimensioni più contenute, ma ricco di suggestioni per tenere in allenamento la mia capacità di immaginare. Sicuramente con una saga familiare di Thomas Mann o i tormenti di Anna Karenina avrei di che appassionarmi e non mi sentirei sola, ma credo che farebbe più al caso mio un compendio di esercizi per lo sguardo come quello realizzato da Georges Perec intorno al 1970, che conosciamo con il titolo Specie di spazi.

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Buon compleanno, Sartre

Jean-Paul Sartre, La nausea

Pochi giorni fa ricorreva il centoundicesimo anniversario della nascita di Jean-Paul Sartre e questo è stato il motivo del tutto casuale per cui mi sono imbattuta nel capolavoro che è La nausea. Ho appena finito di leggerlo e ci sarebbero milioni di modi in cui potrei parlarne.

Potrei dirvi, tanto per cominciare, che è il diario di uno storico, Antoine Roquentin, e il racconto del suo tentativo di portare a compimento un’opera sul controverso personaggio del marchese di Rollebon. Potrei parlarvene come di un romanzo metaletterario, in cui il tema dell’opera incompiuta si intreccia a più livelli dentro e fuori la storia. Oppure potrei dirvi che è l’incursione nella vita di un uomo solo, che si ritrova a riflettere sull’inutilità di vivere, in una esplorazione disillusa e sorprendente della materia prima di cui è fatta l’esistenza. Potrei raccontarvi del suo sguardo impietoso sulla realtà e sul vuoto che vi si cela dietro, che non lascia scampo. O ancora, potrei parlarvi della storia di un amore interrotto e mai sopito, di quel confine labile che talvolta intercorre tra un arrivederci e un addio, di quanto possa risultare odiosa una vita quando alla linfa che la anima si sostituisce un moto di inerzia per cui semplicemente le «si sopravvive». Potrei dirvi delle riflessioni sulla scelta ineluttabile di fronte alla quale si è posti nell’atto di scrivere: o vivere o narrarsi; o dell’indagine impietosa del quotidiano e di quanto sia faticoso trascinarsi avanti nel momento in cui si smette di perseguire un progetto. Oppure ancora, di quanto possa essere difficile sentirsi liberi con la consapevolezza che si tratti di una libertà fasulla, basata sul nulla. E solo alla fine, provare a parlarvi di quella Nausea che è una dimensione quasi metafisica, una condizione che si colloca fuori dell’individuo, una materia odiosa che permea tutto lo spazio entro il quale la realtà si manifesta, il sentimento dell’evidenza che le cose sono gratuite, che tutto – persino l’esistenza – è “di troppo” a questo mondo.

Ma non sarei capace di restituirvi la grandezza, la profondità, l’acutezza con cui Sartre ci porta al cuore di un’angoscia che è poi anche il senso dell’esistenza. Preferisco lasciarvi con delle curiosità collaterali, che vi spingano a cercare – dopo aver letto quest’opera imprescindibile – una continuazione nei mondi che le ruotano intorno.

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Il mestiere di essere figli

Annie Ernaux, Il posto (Yvetot)

[Consiglio di lettura: Annie Ernaux, Il posto (trad. Lorenzo Flabbi), L’orma editore, 2014
Consiglio d’ascolto: Fryderyk Chopin, Ballade n. 2
Consiglio in infusione: tè verde alla menta piperita]

Stando a quello che so – che non si spinge oltre il sentito dire – diventare genitori dev’essere una delle cose più difficili al mondo. Nella mia breve esperienza di vita, però, posso dire con una certa cognizione di causa che anche essere figli non è cosa da poco.

Se è vero che per natura noi esseri umani siamo dotati di un corredo biologico che ci rende idonei a procreare, il margine di arbitrio sul diventare padre o madre è abbastanza ampio da poter scegliere di non sperimentare l’ebbrezza dell’impresa. Dall’essere figli invece nessuno può sperare di sottrarsi in alcun modo. Non solo, essere figli condiziona inevitabilmente ciò che siamo, ciò che vorremmo essere, fino a darci a volte la misura di ciò a cui non vorremmo somigliare.

Penso a questo appena ho finito di rileggere Il posto di Annie Ernaux, di cui sono bastate poche pagine perché diventasse uno dei tasselli fondamentali della mia identità di lettrice.

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