Un Natale da brivido

Ho scritto questo articolo per il calendario dell’avvento letterario di Manuela.

Manca poco più di una settimana a Natale, quel momento dell’anno che, per me che non ho mai smesso di essere una fuori sede, significa soltanto una cosa: tornare a casa. Questo implica ore di coccole estreme, annegamenti nella cioccolata e frequenti attacchi di narcolessia sul divano – e anche esperienze di viaggio ai confini del narrabile, abbuffate senza senso e crisi esistenziali che si ripresentano tra un’ora di ozio e l’altra – ma soprattutto poter andare a letto mentre c’è qualcuno ancora sveglio in casa.

Da che ero una bambina, ho sempre avuto il vizio di prendere sonno più facilmente con almeno un altro paio di occhi aperti nella stanza accanto. E questo ha a che fare anche con i libri che leggo prima di dormire, perché sono una fifona e tendo a concedermi il piacere di letture da avere paura solo quando sono sicura che mamma, papà o il gatto non siano ancora addormentati.

È così che è iniziata, un Natale di un paio di anni fa, la storia del mio innamoramento per Shirley Jackson, grande maestra americana del terrore, ingiustamente meno nota – perlomeno in Italia – rispetto al suo celeberrimo discepolo Stephen King.

Shirley Jackson con i suoi figli, North Bennington, Vermont, 1956 [Erich Hartmann/Magnum Photos]

Shirley Jackson con i suoi figli, North Bennington, Vermont, 1956 [Erich Hartmann/Magnum Photos]

La riscoperta di questa autrice nel nostro paese è avvenuta grazie alla pubblicazione per Adelphi – a partire dai primi anni duemila – di L’incubo di Hill House (apparso in America nel 1959), cui sono seguiti La lotteria (raccolta che trae il titolo dal suo racconto d’esordio sul “New Yorker” nel 1949), Abbiamo sempre vissuto nel castello (dall’edizione del 1962) e Lizzie (del 1954).

Le opere di Shirley Jackson vibrano di un’ironia sinistra che attinge alla materia di cui sono fatte le allucinazioni, senza mai ricorrere a immagini truculente per avvinghiare il lettore alla pagina. Sono storie in cui una ingannevole tranquillità viene scossa dall’elemento paranormale che attraversa la scrittura come una corrente d’aria gelida, sottilmente perturbante. Nessun cedimento allo splatter né a situazioni violente in senso fisico, e persino il ricorso ai più triti cliché del genere horror – la casa infestata dai fantasmi – è ribaltato da un’acutissima, e per questo tanto più terrificante, esplorazione della psiche umana.

Shirley Jackson [Chadprevost.com]

Shirley Jackson [Chadprevost.com]

Shirley Jackson dimostra di sapere bene che «nessun organismo vivente può mantenersi a lungo sano di mente in condizioni di assoluta realtà» e pone al centro delle sue narrazioni quasi sempre una giovane donna che non ricorda «di esser mai stata davvero felice nel corso della sua vita» (come Eleanor Vance in L’incubo di Hill House). Sono personaggi alienati dal proprio mondo, in preda a un conflitto con sé stessi che porta la loro identità a sgretolarsi (come le personalità multiple che tormentano Elizabeth Richmond in Lizzie) e che appaiono tanto più veri quanto più sono ossessionati da piccoli rituali paranoici (come fa Merricat in Abbiamo sempre vissuto nel castello, quando stabilisce tre parole magiche che non devono mai essere pronunciate per continuare a sentirsi al sicuro).

Anche gli spazi non sono mai semplicemente delle scenografie, ma sono animati da una percezione disturbata, perché tutto ciò che accade è restituito attraverso gli occhi di queste donne i cui disordini mentali agiscono sulle cose come una lente deformante.

Illustrazione di Cristiana Couceiro [Frances Benjamin Johnston / Library of Congress (House)]

Illustrazione di Cristiana Couceiro [Frances Benjamin Johnston / Library of Congress (House)]

Sono storie che si svolgono come incubi a occhi aperti che ci attirano nelle loro spire senza offrirci possibilità di soluzione; non si tratta di letture che fanno perdere il sonno, ma che sicuramente possono indurre a guardare le cose di tutti i giorni da una prospettiva obliqua.

Ripercorrendo in ordine di pubblicazione in lingua originale le opere di Shirley Jackson, vi invito a incontrare questa scrittrice attraverso l’unico strumento infallibile che conosco per scegliere una lettura: lasciare che sia la prima pagina a catturarmi, facendomi venire la curiosità di andare avanti.

Shirley Jackson, La lotteria (Adelphi, 2007)

«La mattina del 27 giugno era limpida e assolata, con un bel caldo da piena estate; i fiori sbocciavano a profusione e l’erba era di un verde smagliante. La gente del paese cominciò a radunarsi in piazza, tra l’ufficio postale e la banca, verso le dieci. In certe città, dato il gran numero di abitanti, la lotteria durava due giorni, e bisognava iniziarla il 26 giugno; ma in questo paese, di sole trecento anime all’incirca, bastavano meno di due ore, sicché si poteva cominciare alle dieci del mattino e finire in tempo perché i paesani fossero a casa per il pranzo di mezzogiorno.»
Shirley Jackson, La lotteria (Adelphi, 2007)

Shirley Jackson, Lizzie (Adelphi, 2014)«Anche se il museo godeva di notevole fama in quanto sede di un sapere immenso, le sue fondamenta avevano cominciato a cedere. Così si era prodotta nell’edificio un’inclinazione verso ovest, bizzarra e fastidiosamente vistosa, e nelle giovani donne della città, le cui energiche questue avevano sostentato il museo, una sconfinata vergogna e la tendenza a incolparsi a vicenda.»
Shirley Jackson, Lizzie (Adelphi, 2014)

Shirley Jackson, L’incubo di Hill House (Adelphi, 2004)«Nessun organismo vivente può mantenersi a lungo sano di mente in condizioni di assoluta realtà; perfino le allodole e le cavallette sognano, a detta di alcuni. Hill House, che sana non era, si ergeva sola contro le sue colline, chiusa intorno al buio; si ergeva così da ottant’anni e avrebbe potuto continuare per altri ottanta. Dentro, i muri salivano dritti, i mattoni si univano con precisione, i pavimenti erano solidi e le porte diligentemente chiuse; il silenzio si stendeva uniforme contro il legno e la pietra di Hill House, e qualunque cosa si muovesse lì dentro, si muoveva da sola.»
Shirley Jackson, L’incubo di Hill House (Adelphi, 2004)

copertina_castello«Mi chiamo Mary Katherine Blackwood. Ho diciott’anni e abito con mia sorella Constance. Ho sempre pensato che con un pizzico di fortuna potevo nascere lupo mannaro, perché ho il medio e l’anulare della stessa lunghezza, ma mi sono dovuta accontentare. Detesto lavarmi, e i cani, e il rumore. Le mie passioni sono mia sorella Constance, Riccardo Cuor di Leone e l’Amanita phalloides, il fungo mortale. Gli altri membri della famiglia sono tutti morti.»
Shirley Jackson, Abbiamo sempre vissuto nel castello (Adelphi, 2009)

Se poi voleste completare la lettura con una suggestione musicale, vi consiglio di ascoltare L’Isola dei Morti dal Poema Sinfonico op. 29 di Sergej Rachmaninov.

Buon Natale da brivido!

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