Signor Palomar: ho organizzato un percorso di lettura da verso a Milano, intorno a Italo Calvino.
Giovedì 23 marzo alle 19:00 partiremo dal ritratto dell’uomo e dello scrittore che è sempre stato molto restio a parlare di sé, leggendo alcune delle sue pagine meno note.
Giovedì 4 maggio alle 19:00 attraverseremo il suo epistolario per ripercorrere il suo lavoro in Einaudi e il suo contributo al fermento della stagione editoriale più felice del Novecento.
15 ottobre. Non un giorno come un altro, nella sfera dei miei affetti personali. Il prossimo anno saranno cento tondi che sei nato, Italo del mio cuore, e sarà un gran parlare del tuo genio, delle tue visioni, delle tue parole di cristallo, di come avresti saputo guidarci con la tua mente che era capace di capriole all’indietro e mirabolanti salti in alto.
Per me però sono speciali anche i novantanove di questa ricorrenza spaiata e non ho mai pensato fosse un caso se oggi, tre anni fa, entravo in sala operatoria – è vero quando dico che prima di chiudere gli occhi ho fatto ridere tutti, dicendo che era il tuo compleanno.
Sono felice che, con l’occasione della prossima ricorrenza, molte persone si avvicineranno a te per la prima volta, oppure riapriranno le tue pagine per rileggere quelle che avevano sottolineato, o forse ne ritroveranno in libreria alcune che non si vedevano da tanto.
Tu sappi però che pochi ti vorranno bene come te ne voglio io e che, se per un soffio non fossimo capitati in due epoche così diverse, avresti trovato una mia lettera tra la corrispondenza a cui ti dedicavi con grande slancio.
Ti sarò sempre grata per il copertone con cui Copito de Nieve cerca di raggiungere il senso ultimo delle cose, per gli inventari di formaggi e per gli amori difficili, per l’esattezza e la molteplicità, per il sentiero che porta ai nidi di ragno, per aver dedicato una vita intera alle parole, soprattutto a quelle degli altri. Ma soprattutto perché, ogni volta che mi metto a cercare le mie, provo a farlo come se tu potessi guardarle – con la certezza che ti farei storcere il naso.
Nelle ore troppo piene, nelle settimane troppo lunghe, nei momenti troppo bui, ho la mia riserva di pagine di Italo Calvino a cui attingere per trovare conforto.
Così ho seguito Amerigo Ormea nella sua giornata da scrutatore e mi sono stupita di quanto una storia scritta per una generazione di sessant’anni fa abbia da dire alla mia, che soffre per le storture del mondo e cerca come può di raddrizzare la piccola parte di cui è responsabile: «Nella politica come in tutto il resto della vita, contano quei due principî lì: non farsi mai troppe illusioni e non smettere di credere che ogni cosa che fai potrà servire». Amerigo, parente prossimo di Marcovaldo e Palomar, ha ancora un piede nella realtà, ma la guarda già con disincanto: «La complessità delle cose alle volte pareva un sovrapporsi di strati nettamente separabili, come le foglie d’un carciofo, alle volte invece un agglutinamento di significati».
Con questo racconto Calvino aggiunge un tassello alla «rappresentazione e commento della realtà contemporanea» che aveva inaugurato con La speculazione edilizia e La nuvola di smog: «Avevo in animo, allora, di fare una specie di ciclo che avrebbe potuto intitolarsi A metà del secolo, insomma di storie degli anni ’50, a segnare un trapasso d’epoca».
Ancora oggi, le sue parole dicono qualcosa di noi che le citiamo – spesso a sproposito, come il passaggio che descrive l’amore di un padre in visita al figlio malato:
«Quei due, così come sono, sono reciprocamente necessari. E pensò: ecco, questo modo d’essere è l’amore. E poi: l’umano arriva dove arriva l’amore; non ha confini se non quelli che gli diamo».
A prendere le distanze dal mondo, Amerigo si accorge – e noi con lui – che appartiene alla stessa natura umana di cui tutti siamo fatti; che i sentimenti sono lacci che legano (dolorosamente) le persone; che nei libri cerchiamo una spiegazione; che forse ciò che conta in ogni cosa «è solo il momento in cui comincia, in cui non esiste che il futuro».
Ma soprattutto, che a sperimentare la difficoltà di esistere non siamo soli: «Non sapeva cosa avrebbe voluto: capiva solo quant’era distante, lui come tutti, dal vivere come va vissuto quello che cercava di vivere».
La giornata d’uno scrutatore, Italo Calvino (Einaudi, 1963)
Libri che parlano di libri e altre amenità editoriali
Non ci stanchiamo mai di parlare di libri, né di continuare a leggere (e accumulare) libri che parlano di libri e di editoria. E con l’intento di aggiungere qualche tessera all’inventario dei desideri che ci fanno vivere meglio, ho cercato di riunire i pezzi più importanti della mia collezione libresca.
Come tutte le selezioni, non ha la pretesa di essere esaustiva né di porsi come una guida, ma è semplicemente un modo per mettere nero su bianco quanto sono fiera delle (poche) cose che so e che possiedo. Noterete che – dove il libro non sia fuori catalogo – ho inserito un link di affiliazione: se ci passate per acquistare (anche qualsiasi altra cosa), a me arrivano degli spiccioli, con i quali mi procurerò ancora un libro per accrescere la lista.
Fatte queste premesse, vi do il benvenuto tra gli scaffali della libreria che mi sono più cari. Si accettano volentieri consigli, perché il bello è proprio che non si finisce mai.
«Non è vero che non ricordo più niente, i ricordi sono ancora là, nascosti nel grigio gomitolo del cervello, nell’umido letto di sabbia che si deposita nel fondo del torrente dei pensieri: se è vero che ogni grano di questa sabbia mentale conserva un momento della vita fissato in modo che non si possa più cancellare ma seppellito da miliardi e miliardi d’altri granelli».
Un giorno della primavera del 1985, Italo Calvino diceva a Chichita, sua moglie, che avrebbe scritto altri dodici libri: «Anzi – aggiungeva – forse quindici». Di lì a qualche mese, però, ci avrebbe lasciati, e sulla sua scrivania sarebbero rimaste soltanto alcune di quelle pagine in cantiere.
Ben meno conosciuta rispetto alle Lezioni americane, la raccolta Passaggi obbligati avrebbe dovuto contenere degli «esercizi di memoria», di cui oggi possiamo leggere cinque brani, scritti tra il 1962 e il 1977, e pubblicati nel 1995 con il titolo La strada di San Giovanni.
Un ritratto del padre, il suo legame con il cinema, un ricordo di guerra, una metafora insolita del rapporto con la scrittura, frammenti di una riflessione sull’atto di richiamare le cose alla memoria: leggendo questa raccolta si avverte che non ci sia stato il tempo di lavorarla di cesello come le sue altre opere, ma chi conosce Italo Calvino almeno un po’ potrà ritrovare alcune delle sue pose migliori, come a sfogliare un vecchio album di fotografie dimenticato per anni dentro un cassetto.
«Dal fondo dell’opaco io scrivo, ricostruendo la mappa d’un aprico che è solo un inverificabile assioma per i calcoli della memoria, il luogo geometrico dell’io, di un me stesso di cui il me stesso ha bisogno per sapersi me stesso, l’io che serve solo perché il mondo riceva continuamente notizie dell’esistenza del mondo, un congegno di cui il mondo dispone per sapere se c’è».
E chissà se sono solo io che, in questi giorni più forte che mai, mi imbatto in letture che alimentano un bisogno di ricordare.